Hai presente quando hai la necessità di riportare in equilibrio una situazione? Pensa alle più banali.
- Se hai caldo in auto, accendi l'aria condizionata.
- Se ti entra troppa luce in casa, tiri la tenda o abbassi la tapparella.
- Se “non ci vedi più dalla fame”, probabilmente non ti basta la merendina ricoperta di cioccolato per saziarti e anzi sogni che il celebre Tommy con la sua flessione toscana ti sventoli una schiacciata fumante davanti agli occhi.
Insomma, ai bisogni della nostra vita, o meglio a quelle sensazioni che ti fanno avvertire che "c'è qualcosa che non va" troviamo spesso soluzioni. Risposte.
Ma quando si parla di violenza?
Diciamocelo, ne abbiamo abbastanza di sentir parlare di casi di cronaca nera. La frequenza ci stordisce: la periodicità dei femminicidi (femminicidio: “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”) ha una media di 1 ogni tre giorni in Italia. Troppo.
Sentiamo il bisogno di mettere fine, ma come? Come possiamo distruggere la "Piramide dell'Odio"?
Il linguaggio inclusivo alla base della piramide di ghiaccio
Scalare la piramide, o l'iceberg di ghiaccio di cui vediamo spesso solo l'apice più marcato (e violento), non è facile. Ci sono “altezze” che competono, per responsabilità, alle istituzioni. Partire dalla sommità è impensabile per una persona comune. Ecco che è meglio orientare l’interesse a quell’area in cui il margine operativo è tanto consentito quanto raggiungibile. Partiamo quindi dai piedi della piramide, dove ognuno può avere un ruolo. In particolare a livello culturale. La promozione di una cultura inclusiva attraverso le parole può essere un inizio. Non da poco.D'altra parte il linguaggio è cambiato. Cambia. Ha (e ha avuto) da sempre un ruolo importante:
"Gli studi - conferma la prof.ssa Mariasole Bannò, Professoressa e Presidente della Commissione Genere presso Università degli Studi di Brescia - ci dicono che il linguaggio plasma il pensiero e che, ad esempio, è alla base per ridurre le discriminazioni. In tal senso abbiamo fatto passi avanti, specialmente riguardo alle discriminazioni basate sul genere”. Anche se, c'è da aggiungere, che nell'ambito del linguaggio e del suo utilizzo ci sono molteplici aspetti ancora da assimilare: “Davanti a parole come "architetta", "avvocata", "sindaca" c'è chi storce il naso, sminuendo il significato che tali vocaboli possono avere. Deriviamo da una società patriarcale, in cui ad esempio in passato non poteva esistere la parola "magistrata" se, per forza di cose, non esisteva una donna nella magistratura. Questo è un esempio di una “non abitudine” a vedere donne in determinate posizioni, che quindi fa "suonare male" anche la parola declinata al femminile”.
Ma basta "solo" cambiare la vocale finale?
La risposta è scontata, ma in questo caso la riflessione si sposta sulle abitudini, che si possono cambiare. Al pari di molti stereotipi che resistono:
“L’uso del femminile nella lingua italiana c'è. E il linguaggio è uno strumento con grandi potenzialità, fermo restando che è necessario dare sempre libertà di scelta senza costringere nessuno. Non sappiamo quali forme potrà prendere il linguaggio per esprimere in modo più inclusivo la società. Di certo la società non cambia nel breve termine. Quello che possiamo fare è accompagnare questo cambiamento nel migliore dei modi. Ciò che mi preme segnalare è che in Paesi dove il linguaggio è più inclusivo, c'è anche maggior presenza di figure femminili nelle aree STEM, nelle organizzazioni governative e in posizioni di responsabilità. Non c’è un rapporto di causa-effetto, ma certamente questi sono due elementi endogeni che si autoalimentano”.
Ma tutto ciò cosa c'entra con le violenze o i femminicidi?
Il rispetto del prossimo è direttamente connesso alla capacità di includere. Implicitamente, il linguaggio è un veicolo che può orientare i comportamenti:
“I benefici del linguaggio inclusivo sono importanti - prosegue la prof.ssa Bannò. Si tratta del primo passo del processo di inclusione. Ogni individuo deve poter fare parte di una collettività ma senza cancellare le sue caratteristiche, altrimenti sarebbe accaparramento. Il beneficio del linguaggio inclusivo è sottolineare le differenze delle persone e vederle come arricchimento, esprimere quello che sono davvero”.
Ogni persona ha quindi la possibilità di contribuire. Così come, sempre di più, possono fare le organizzazioni:
“Anche in un'azienda il linguaggio è il primo strumento che apre le porte a tutte le diversità. A prescindere dalle dimensioni, e dal numero di persone che la compongono, ci saranno sempre persone diverse per genere, abilità, etnia, religione. Promuovere una cultura di valorizzazione delle diversità può portare benefici su tutta la linea".
E se è vero che un accendino, una singola fiamma da sola, non fa molto sul permafrost, magari insieme possiamo iniziare a scogliere l'iceberg dalla base.
Il tema del linguaggio inclusivo è stato oggetto di attenzione anche in Feralpi Group. Nell'ambito del più recente incontro degli e delle Ambassador DEI, che coinvolge rappresentanti di ogni azienda del Gruppo, è stato proposto di creare un nuovo decalogo: dalle persone sono arrivati dunque degli spunti, da riportare all'interno dell'organizzazione, per condividere un linguaggio inclusivo all'interno del luogo di lavoro. La creazione del decalogo sul linguaggio inclusivo è solo l'ultima delle attività del Gruppo di Lavoro Diversity & Inclusion di Feralpi.
Lavoro per Feralpi da marzo 2009, dopo aver chiuso le fatiche e le gioie della mia laurea quinquennale in Lingue e Letterature Straniere all'Università Cattolica di Brescia. Il tedesco, a pari merito col ballo e il canto, è la mia più grande passione. E grazie ad esso ho potuto vivere un'esperienza umana e lavorativa indimenticabile presso la consociata tedesca di Feralpi, a Riesa.
Da Ottobre 2022 mi occupo di progetti di Diversity, Equity and Inclusion di Feralpi Group e sono al quarto anno di Dottorato Industriale sui temi di strategie di sostenibilità e innovazione tecnologica. Sono mamma di due vivacissimi pupetti biondi e moglie di un compagno che sopporta, e forse supporta, tutti i miei progetti professionali e privati. Appena sarà possibile, vorrei ritornare a fare visita ai miei colleghi tedeschi, sperando che non si siano scordati di me.